Storie Aspromontane – Pat Porpiglia
Posted on 23. Nov, 2015 by admin in Eventi, Libri
Di Pasquale Cotroneo (tratto da “Il Dispaccio” on line)
“Storie Aspromontane” è il libro di Pat Porpiglia in cui una serie di brevi racconti, sullo stile verista, racchiudono all’interno luoghi e personaggi verosimili, tipici della realtà paesana di un tempo, tra battute e detti popolari. Una serie di racconti tramandati all’autore dagli anziani del paese, o che lo stesso ha appreso per sentito dire, descritti con una raffinata dovizia di particolari e al tempo stesso con semplicità, ma non in maniera semplicistica. Una serie di racconti che racchiudono la calabresità, e temi di profonda importanza.
Pat Porpiglia scrive con la consapevolezza dell’uomo vissuto, come colui che dopo una vita ricca di soddisfazioni e in cui si è creato da se, ha raggiunto il vero successo: non quello dei soldi, ma quello dell’armonia e dello sviluppo psico-culturale perché come racconta “il vero successo dipende anche da quanti km e da quante difficoltà incontri e superi nella tua vita per passare dalla situazione in cui ti trovavi all’inizio e quella in cui ti troverai alla fine”.
Pat Porpiglia affonda la penna con lo stupore dell’artista che ha appena finito di dipingere un quadro, come colui che all’inizio del percorso non sa se riuscirà ad arrivare al traguardo, ma comunque ci prova, perché la cosa più difficile è sempre prendere l’iniziativa.
Nella vita come nella stesura di un libro.
Un tema, quello della volontà e della forza d’animo, che è costante all’interno delle sue opere, e che poggia su quei valori fondamentali, che il senso e la cultura di appartenenza ad un luogo dal glorioso passato, gli hanno lasciato dentro: l’onorabilità, la volontà, l’umiltà, l’onestà.
“Storie Aspromontane” è una doverosa risposta a tutto questo, ad un debito col proprio passato, consci che la cultura è alla base di ogni uomo, il quale con questa “definisce la sua centralità nel mondo, la propria identità, senza la quale ognuno diventa alienato. La cultura è, infatti, alla base del pensiero e delle azioni di una formazione sociale e della società stessa. La cultura forgia una comune identità a un popolo, a un’etnia e a un individuo: tutti noi siamo consapevoli di quanto sia indispensabile per un uomo avere una propria identità ben definita. Un uomo senza identità è stato paragonato a una nave, senza timone e senza timoniere, in balia del vento e delle onde, incapace di indirizzare la prua in una qualunque direzione”.
La cultura diviene dunque elemento indispensabile, anche se purtroppo oggi la stessa non è fondamentale nei processi di assegnazione di poltrone e cariche pubbliche, soprattutto per quei calabresi, che alla luce delle difficoltà e contraddizioni che affliggono la nostra terra, che, nonostante i problemi che ci portiamo addosso, sono riusciti ad affermarsi.
Senza, tuttavia, incappare, nell’errore di considerarla “come un oggetto prezioso, da custodire all’interno di uno scrigno. La cultura deve avere una vitalità e una dinamicità che guarda al presente e anche al futuro. Bisogna avere il coraggio di andare oltre il passato, si devono limare alcuni aspetti ridondanti o divenuti anacronistici della propria cultura, che non portano alcun giovamento in quanto non trovano più alcun riscontro nell’epoca contemporanea. La cultura deve essere un fenomeno che implica una razionale e costante evoluzione”.
Se così sarà fatto, allora si, per l’autore la cultura potrà davvero salvare il mondo.
Ma la cultura, e l’istruzione, senza la saggezza non sono nulla.
Per questo “Storie Aspromontane” guarda con attenzione ai racconti degli anziani, e per certi versi vuole essere un tributo anche ai “nostri vecchi”: artefici di quella stabilità che ha permesso all’autore, e alla sua generazione, la possibilità di vivere una vita migliore dalla loro.
Gente che racconta anche i temi tristi “senza aspetti e elementi distintivi tragici o dolorosi riconducibili al nostro passato, non perché non ce ne fossero nella nostra storia paesana, ma perché queste persone anziane volevano concentrarsi soltanto sopra delle vicende positive. La stragrande maggioranza dei personaggi delle ‘Storie Aspromontane’ – spiega Pat Porpiglia – quando sembra che il mondo stia per crollare loro addosso oppure quando la loro esistenza è vessata da problemi di varia natura, non si lasciano prendere dall’ansia e dalla paura. Essi hanno sempre una soluzione a portata di mano. Sono pervasi intimamente da un velo di ottimismo. E io, in questo come in altri libri, cerco di fare lo stesso. Oggi noi invece non abbiamo lo stesso ottimismo. Non abbiamo positività verso il futuro e questo mi crea grande fastidio. Così come mi crea fastidio non poter garantire ai miei figli quello che mio padre garantì a me, una vita migliore”.
Un altro tributo, infatti, è quello che l’autore celebra al padre, ma in generale a tutti i capofamiglia di un tempo. Due delle storie raccolte all’interno del volume ( “Non ti ritirare senza lanterna” e “Rumani a ghiornu ndi virimu megghiu” ) sono state raccontate all’autore dal padre, Giorgio Porpiglia. Tra i due vi è un legame speciale, e a raccontarcelo stavolta è l’uomo piuttosto che lo scrittore, senza nascondere quello ancor più viscerale che aveva con la madre, nutrito da un profondo attaccamento. “Sono stato via per 20 anni, ho un debito di riconoscenza con mio padre. Lui mi ha permesso, attraverso i suoi sacrifici, di diventare l’uomo che sono. Vorrei che altri padri raccontassero ai figli le storie che lui ha raccontato a me. In fondo vorrei essere mio padre, vorrei sedermi in quella che un tempo era la sedia del capofamiglia, la sedia di mio padre”.
Non poteva mancare poi il tema dell’emigrazione, in questo, come negli altri libri, per chi è vissuto in Canada per oltre 20 anni, e in terra straniera si è affermato.
Emblematici sono i racconti “Un taglio di capelli illegale” e “Il rientro in Italia per la morte del nonno” che offrono la sponda a Pat Porpiglia per una discussione ad ampio spettro, visto che di tema di profonda attualità si tratta.
Parlandoci, si sofferma sul tema dell’emigrazione verso l’italia e più in generale verso l’unione Europea, facendo innanzitutto una differenza tra rifugiati politici, e immigrazione clandestina.
Lo fa da uomo attento, che è passato sotto “le forche caudine” dell’emigrazione e che quindi sa cosa si prova, e si cerca.
“Noi abbiamo il dovere sacrosanto di aiutare coloro che hanno la sfortuna di dover fuggire da paesi in cui le libertà fondamentali dell’uomo non sono rispettate, di creare le condizioni migliori per accoglierli, di offrire loro la possibilità di iniziare. E questo va oltre l’aver firmato trattati internazionali, è una questione di coscienza. Siamo tutti figli dello stesso Dio, ma in Italia non siamo stati capaci di adottare politica adeguata”. Mentre sull’immigrazione clandestina: “Quando sono andato in Canada, nel ’67 ho dovuto superare dei parametri che il Canada fissava secondo i quali chi emigrava lì avrebbe avuto poi la possibilità di integrarsi ed affermarsi. Avrei voluto forse che l’Italia avesse adottato una politica simile. Noi dovremmo poter accogliere queste persone in maniera bella, dovremmo provvedere alla loro integrazione e al tempo stesso permettere loro di coltivare la propria cultura. Il fenomeno dell’immigrazione clandestina che non riusciamo a fronteggiare non ci permette di capire chi sono e quanti sono. Loro invece sarebbero una risorsa fondamentale per il rilancio di questo Paese, perché noi Italiani non facciamo più certi lavori. Vorrei che potessero fare come me, che ho mantenuto la mia Italianità, ma al tempo stesso sono anche diventato Canadese”.
Ma, incalzato dalle nostre domande, porge la sua attenzione anche nei confronti di quei giovani che oggi, nuovamente, sono costretti ad andare all’estero per potersi affermare.
“E’ una medaglia dalle due facce – afferma Pat Porpiglia. Voi giovani siete la parte migliore del Paese, e sono profondamente triste nel vedere come noi non siamo stati in grado di prevenire la vostra partenza, e non abbiamo seminato il terreno per far in modo che giovani di altri paesi si trasferissero in Italia. Oggi non possiamo più competere con Paesi come la Cina, o l’India. Dall’altro – continua – credo che andare all’estero ti forma sotto tutti i punti di vista, venire a contatto con altre culture è un esperienza incommensurabile. Mia figlia ad esempio, anch’essa trasferitasi e formatasi all’Estero, è partita che era una ragazzina, è tornata che era una donna”.
In dei racconti ambientati in Calabria, non poteva mancare nemmeno il riferimento alla criminalità organizzata, alla ‘ndrangheta, perché Pat Porpiglia, come si legge nella Prefazione del Prof. Sandro Mario Giambelluca, “non nasconde sotto il tappeto un fenomeno sociale così rilevante”, né mette la testa sotto la sabbia, ma lo fa in una maniera diversa dal solito, e con una vena di ironia e sarcasmo racconta “Il battezzo del picciotto” ricorrendo ancora una volta alla modalità della burla. Così accade che il giovane “battesimando” si vede precluso l’accesso all'”onorata società” per una terribile “febbre fifona”.
“La speranza – afferma l’autore – è che la società possa davvero vincere contro questi uomini che ogni giorno danneggiano il nostro paese. Noi per fortuna, grazie a quei principi che spesso sono parte basilare dei miei libri, siamo riusciti a restare fuori da quel torpore. Tuttavia oggi dobbiamo assumerci delle responsabilità, dobbiamo chiederci in che misura è colpa nostra se un giovane è stato attratto dalla ‘ndrangheta. Abbiamo bisogno di persone semplici, non di eroi. Gli eroi muoiono, e creano confusione e sconvolgimento dentro chi li ha seguiti. Abbiamo bisogno di leader che sappiano adattarsi ai tempi, e che pongano le basi affinchè la situazione in cui ci troviamo possa mutare”